Una peculiarità percepita soprattutto come un difetto, quando in realtà ci consente di sviluppare un’intelligenza spiccata.
Nessuno è perfetto e su questo Pianeta non esistono gli infallibili. Tuttavia, ci sono peculiarità caratteriali che, più di altre, finiscono nel mirino di figure che si autoproclamano esperti in campo emotivo e cognitivo.
In particolare, una caratteristica viene spesso criticata ed associata ad un difetto che è necessario correggere. Eppure, ciò che si presenta come una limitazione, in realtà si traduce in un dono inestimabile.
Ti dicono che è un “difetto”, invece è un dono
Sono soprattutto gli animi introversi a finire nel mirino di coloro che tentano di cambiare la loro essenza. Un estroverso imputa all’introverso di non parlare molto, di essere un tipo solitario e di concedersi a pochi eletti. Viceversa, non si presenta alcuna critica da parte dei pacati agli esuberanti. La stessa società ci convince che la ricerca di una tranquillità esteriore ed interiore sia controproducente per la nostra crescita emotiva. Di altro avviso sono gli psicologi e la comunità medico-scientifica.
Un recente studio ha analizzato a campione il Quoziente di Intelligenza (QI) di un gruppo di individui di età compresa tra i 18 e i 28 anni, evidenziando un chiaro divario tra chi riempie costantemente i vuoti con la compagnia altrui e chi invece assapora, di tanto in tanto, la solitudine. Questi ultimi, oltre a vantare uno spirito di osservazione più spiccato, sono risultati molto più soddisfatti a livello emotivo e professionale, soprattutto se residenti in una condizione urbana caotica.
I livelli QI elevati, secondo quanto emerso dallo studio, si sono sviluppati proprio grazie ai periodi di riflessione introspettiva, tipici di coloro che tendono ad amare il tempo trascorso nella propria intimità, lontana dai continui e controversi stimoli della società. La noia, oggi tanto vessata, ha consentito loro di sviluppare i processi cognitivi, strutturando una personalità più definita dei cosiddetti estroversi.
Ci si riferisce sostanzialmente alla Teoria della Savana, secondo cui – con le innovazioni tecnologiche e la frenesia dilagante – gli esseri viventi in grado di sopravvivere sono quelli che riescono a dissociarsi dalla realtà, osservandola dall’esterno come spettatori, originando così un inestimabile capacità di adattamento. Tale peculiarità, applicata nei rapporti umani oltre che professionali, consente loro di selezionare adeguatamente amici e conoscenti.
Di base, dunque, gli introversi e coloro che hanno fatto pace con la potenziale solitudine sono paradossalmente più felici. Questo, a maggior ragione se la compagnia altrui, più che un piacere, diventa una necessità imprescindibile.